Nell’antica Roma, il primo giorno del mese di , il Pontefice Massimo (il sacerdote che controllava tutto ciò che riguardava il culto) offriva a Giano una focaccia di farro per propiziarne un’influenza benefica sulla natura e sui raccolti.
Giano era il dio bifronte che guarda indietro, al all’anno appena trascorso, e avanti, al , all’anno che sta per cominciare. A questa divinità era dedicato il mese di gennaio.
Probabilmente proprio perché gennaio era il mese di Giano, negli ultimi secoli della Repubblica, l’inizio dell’anno, che veniva celebrato a , fu spostato indietro di due mesi.
Questo spostamento fu confermato da Giulio Cesare nella sua riforma del , che entrò in vigore il primo gennaio del 45 a.C.
A i Romani si offrivano l’un con l’altro ramoscelli di alloro e ulivo, colti nel della dea Strēnua (o Strēnĭa), situato lungo la via Sacra, con la speranza che il nuovo portasse la prosperità e il vigore personificati dalla dea. Questi doni presero il nome di . I festeggiamenti erano anche accompagnati dai rumori prodotti da campane e altri strumenti che avevano lo scopo di cacciare i demoni e gli spiriti maligni e di iniziare l’anno liberati da ogni influsso negativo.
Anche i doni che si fanno ai bambini il 6 gennaio, giorno dell’Epifania, hanno un’origine pagana e sono collegati a un altro bosco sacro, quello della ninfa Egeria, consigliera e moglie del secondo re di Roma, Numa Pompilio: alle calende di gennaio, Egeria donava a Numa Pompilio una piena di dolci e previsioni sul futuro.
E il ?
I Romani credevano che il d’inverno cadesse il 25 dicembre e quindi festeggiavano in questo giorno il Sol Invictus, il sole mai sconfitto, divinità protettrice del sovrano. Con il diffondersi del cristianesimo, il culto della divinità pagana fu affiancato e poi sostituito dalla celebrazione della nascita di Gesù, il vero sole che sconfigge le tenebre. Dal IV secolo, la festa si diffuse in tutta la cristianità.