(Testo rielaborato da Orazio, Satire, 2.6)
Un topo di campagna nella sua povera tana un vecchio amico che viene dalla città.
Per cena gli tutto quello che ha e tiene per sé solo un tozzo di pane secco.
Ma il topo di città non quasi il cibo e alla fine gli : Amico mio, perché stai in questo posto così solitario? Perché non vieni in città? Lo sai quanto brevi sono i nostri giorni! Non è meglio allora vivere allegramente e nell’abbondanza?
Il topo di campagna, colpito da queste parole, di seguirlo.
I due in viaggio e in città in piena notte. Strisciano sotto le mura ed in un palazzo.
In cucina una gran quantità di cibo avanzato dalla cena della sera prima: formaggio, fichi secchi, miele, molliche di pane fresco.
Il topo di campagna a mangiare e a compiacersi della buona sorte che ha avuto, ma all’improvviso si sente un rimbombo di porte.
I due topi, terrorizzati, a correre a perdifiato, mentre il palazzo risuona dell’abbaiare dei cani.
Fuggendo qua e là un buco in cui nascondersi.
Allora il topo di campagna con il poco fiato che gli è rimasto esclama: Ti saluto, amico mio! Goditi pure il buon cibo e insieme pericoli e disagi.
Io, povero, rosicchio solo legumi e avena, ma vivo senza dover temere nessuno!
È meglio vivere una vita semplice e tranquilla, piuttosto che vivere nel lusso, ma col batticuore.